Pochi istanti di motoscafo e, ci siamo, L’Isola Bella si presenta davanti a noi pronta per essere assaporata con l’imponente mole bianca del Palazzo Borromeo alla nostra sinistra e, sulla destra, cominciamo ad ammirare l’eleganza e la perfezione stilistica dei giardini terrazzati all’italiana che contornano la principale residenza sul Lago Maggiore della famiglia milanese.
Qui, i Borromeo hanno trasformato l’isolotto in un gigantesco vascello immobile sul lago, sfruttando la preesistente struttura geografica dell’isola vagamente triangolare e costruendo il resto ex-novo: la parte più ampia dell’isola, quella posteriore, doveva simulare la prua; il palazzo doveva essere il ponte di prua; il terrazzo superiore dei giardini il ponte di comando. L’architetto che progettò sia palazzo che giardini fu il ticinese Antonio Crivelli ma all’opera vi lavorarono anche altri famosi architetti lombardi come il Richini, il Fontana ed il Cagnola.
Il palazzo, fu costruito a più riprese a partire dalla prima metà del seicento; Carlo III Borromeo, sposato con Isabella d’Adda decise di dedicargli il nome dell’isola che, per contrazione fonetica, divenne Bella. Suo figlio, Vitaliano VI inaugurò il palazzo nel 1671, ma parte del progetto non fu completato: la parte settentrionale doveva ospitare una darsena monumentale di fatto mai costruita; le facciate all’ingresso principale mancano della decorazione prevista originariamente a piccole pietre bianche e scure.
Prima di visitare l’interno del palazzo, soffermiamoci sulla zona di parete a lato della biglietteria, dove è ospitata una targa che ricorda il livello raggiunto dalle acque del lago durante la famosa piena dell’ottobre 1868. All’ingresso, dopo la saletta delle armi all’interno delle quale è conservata una collezione di proiettili ed armature di età cinquecentesca e seicentesca, saliamo lo scalone con gradini in granito rosa di Baveno e balaustra marmorea che ci introdurrà al piano nobile del palazzo. Lo scalone è circondato alle pareti dagli stemmi araldici di alcuni famiglie imparentate nel corso dei secoli con i Borromeo: i Medici, i Farnese, gli Odescalchi, la Casa Savoia, i Barberini. L’ultimo sulla sinistra, salendo le scale, è lo stemma ufficiale famigliare con l’unicorno simbolo di valore guerresco, i tre anelli intrecciati a simboleggiare l’unione con i Visconti e gli Sforza, il cammello accovacciato simbolo di fedeltà della famiglia verso i Visconti che diedero questi territori sul lago alla famiglia favorendone l’espansione in tutta l’area, la corona con inferiormente il motto latino humilitas di San Carlo ed i limoni simbolo della bellezza delle isole proprietà della famiglia. Al termine dello scalone, procediamo verso l’ingresso dell’ala del palazzo costruita dall’architetto Biffi dal 1677 e che ospita, dopo aver attraversato quattro piccole salette denominate camerini ricchi di opere pittoriche dal 500’ al 700’, l’incredibile galleria Berthier, dove, seguendo il modello della Galleria Colonna a Roma, in un unico spazio dal decoro baroccheggiante, sono conservati 130 dipinti, alcune copie di grandi artisti, altri appartenenti a nomi celebri della pittura lombardo- veneta dal cinquecento al settecento: vi segnalo, tra gli altri: Paris Bordon con la sua Sacra Famiglia (500’); il Boltraffio allievo di Leonardo a Milano con i suoi ritratti maschile e femminile che risentono dell’influenza del grande maestro; Vincenzo Catena allievo di Antonello da Messina e la riproduzione da parte del lombardo Cazzaniga, pittore di corte seicentesco, del capolavoro del Correggio la Maddalena leggente, che, conservato nella pinacoteca di Dresda, sparì durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. La galleria, detta anche sala dell’alcova, fu dedicata al capo di stato maggiore dell’armata d’Italia al servizio di Napoleone Generale Berthier.
La visita si conclude in quest’ala del palazzo, restituita al pubblico dopo minuziosi restauri solo pochi anni fa, con la sala del trono, dove, tra decorazioni lignee e stucchi barocchi, stipi decorati con disegni floreali marmorei ed intarsi in tartaruga, svetta un enorme trono dal quale i Borromeo ricevevano gli ospiti.
Il piano nobile, continua con la sala delle medaglie, in puro stile barocco con ridondanti stucchi bianchi e dieci medaglioni in legno intagliato e dorato del settecentesco Zanelli raffiguranti scene tratte dalla vita di San Carlo Borromeo. Qui sono presenti, in una vetrina sul grande tavolo da ricevimento, una collezione di vetri francesi e, sullo sfondo, un ritratto da parte del Milanese di Vitaliano VI.
Il Salone Grande è la più importante sala di ricevimento del palazzo per le grandi occasioni. Costruita nel seicento, fu terminata, come la vediamo oggi, solamente nel 1959. E’ un ambiente a pianta centrale, quadrilobata circondata in alto da gallerie da dove si osservavano meglio le varie cerimonie. Nel mezzo, una teca dove è collocato uno splendido modellino realizzato nel 1812 da un appassionato cameriere di casa Borromeo e raffigurante l’intera isola, comprese le parti non realizzate del progetto originario. La Sala della Musica assume un’importanza storica, poiché qui si svolse la Conferenza di Stresa nell’Aprile del 1935, alla quale parteciparono Mussolini e gli ambasciatori Laval per la Francia e Mc Donald per il Regno Unito. L’evento è ancora ricordato da una copia delle risoluzioni finali della conferenza incorniciata in fondo alla vostra sinistra. Nella sala, a destra, spiccano due opere del fiammingo Pieter Muller (600’), denominato il Tempesta poiché amava tratteggiare nelle sue opere paesaggi tormentati da imminenti bufere. Secondo la leggenda, sembra che il pittore, dopo aver ucciso la moglie, si fece ospitare a palazzo per alcuni anni da Vitaliano sfuggendo in tal modo ad ogni condanna. A sinistra invece, un enorme Fucina di Vulcano del cinquecentesco Jacopo da Bassano. A seguire, la Sala Napoleonica, con il letto a baldacchino dove dormì due volte il condottiero, la prima nel 1797 (una stampa dell’epoca lo raffigura in giardino con la moglie J.Beauharnais e la sorella Paolina), la seconda nel 1800 alla vigilia della decisiva battaglia di Marengo per la conquista del nostro paese. La sala presenta anche una decorazione con soffitti a trompe-l’oeil e grandi specchi in stile impero. Afferma A. Dumas Padre che, durante il secondo soggiorno, mentre stava pranzando all’ombra di un lauro, tra il primo e secondo piatto, impaziente, estrasse il suo coltello ed incise sull’albero la parola Victoire. Passiamo per la piccola biblioteca che ospita rare opere sulla letteratura e le materie scientifiche ed arriviamo alla Sala Luca Giordano. Essa è dedicata al grande artista seicentesco, napoletano di nascita ma che, influenzato dalla scuola veneziana del periodo, realizzò dipinti caratterizzati da una grande ricchezza coloristica. Qui, possiamo osservare tre grandi tele dedicate ai miti dell’antica Grecia: il trionfo di Galatea a sinistra, il Giudizio di Paride sulla bellezza di Venere al centro, Europa rapita da Giove trasformato in toro a destra. Giordano era denominato anche Luca il Veloce per la sua rapidità d’esecuzione. Fantastica, al centro della sala in una teca, la sella tutta intarsiata in avorio da artigiani veneziani (prima metà 400’). La piccola sala seguente, detta del Lavoro, presenta una serie di ritratti famigliari dipinti da Cesare Tallone e Francesco Appiani. Il quadro più curioso è quello che si vede di fronte entrando, dipinto da Elisabetta Borromeo; ritrae la culla in cui dorme il figlio Giberto vegliato da due deliziosi cani. In questa sala, è presente uno dei pochi lampadari a palazzo non in cristallo di Murano, in questo caso è in cristallo di rocca.
Anche la successiva sala è dedicata ad un artista settecentesco il maremmano Zuccarelli che ritrae nelle sue opere diversi possedimenti famigliari, tra i quali: l’Isola Madre e la Rocca di Arona, possente opera difensiva a guardia della parte meridionale del lago poi distrutta da Napoleone. Nella Sala di Conversazione consiglio vivamente di soffermarsi su un autentico capolavoro: un tavolino rotondo con la superficie composta da un mosaico di marmi colorati che compongono un vaso di fiori. Pare che ci vollero diciotto anni per realizzarlo Fu un dono di Papa Leone XII a Giberto V Borromeo che fu ambasciatore in Santa Sede per il governo austriaco nel 1825. La successiva sala da ballo, in stile neoclassico, presenta un grande lampadario in cristallo di Boemia ed eleganti divanetti in stile impero con ricamati i simboli araldici famigliari.
Scendendo la scalinata sulla destra, ci inoltriamo nella parte sotterranea del palazzo, denominata le Grotte; sei sale con un’incredibile decorazione in piccole pietre locali e vulcaniche. I lavori per la loro realizzazione, durante il settecento, durarono circa cento anni. Oggi le sale sono arredate con sculture neoclassiche del ravennate Monti, allievo del Canova ed in una, trovate addirittura dei ritrovamenti archeologici dell’età del ferro provenienti dalla necropoli di Golasecca a sud del lago. Nell’ultima le ricche e dorate bardature dei cavalli di Casa Borromeo. Risaliamo verso il piano nobile attraverso un’incredibile scalinata a chiocciola seicentesca e, riattraversando la sala da ballo, giungiamo nel corridoio degli specchi. Grazie alla particolare angolatura di queste grandi specchiature vedrete la vostra immagine riflessa più volte. L’ultima sala proposta durante la visita è una delle più importanti: la Galleria degli Arazzi, interamente ricoperta da questi splendidi manufatti fiamminghi del 1560, tutti intessuti a mano in seta ed oro con motivi animalistici e naturali.
Uscendo dal palazzo, attraversando il cortile di Diana, arriviamo, attraverso una doppia scalinata, all’ingresso del giardino. Una volta varcato il cancello ci troviamo già sulla sesta delle dieci terrazze una sovrapposta all’altra, di cui è composto il giardino in stile all’italiana, costruito contemporaneamente al palazzo nel corso del seicento. Davanti a noi, dopo aver ammirato all’ingresso una canfora cinese dai possenti rami piantata nel 1812, si staglia il c.d. teatro, costruzione simile ad un proscenio decorata similmente alle grotte con l’aggiunta di statue dal sapore classico e piccoli obelischi. Passeggiando per il giardino, troveremo la collezione di rose sulle terrazze del teatro, ortensie, camelie, splendide azalee e rododendri, banani, conifere ed un’ampia collezione di agrumi. Non dimenticate di salire sull’ultima terrazza del giardino per ammirare l’incomparabile panorama su tutto il lago e di fotografare i pavoni bianchi, abitanti d’eccellenza del giardino.
Testo di Luca Sconfienza - guida autorizzata per il VCO